SENTENZA N. 98
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Francesco AMIRANTE Giudice
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
-
- Maria
- Giuseppe TESAURO “
-
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’articolo 1, commi da
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 20 febbraio 2007 il Giudice
relatore
uditi gli avvocati Fabio Lorenzoni per
Ritenuto
in fatto
1.
– Con tre separati ricorsi di analogo tenore, notificati il 27 febbraio 2006 e
depositati i successivi 3 e 4 marzo 2006, le Regioni Liguria, Emilia-Romagna e
Friuli-Venezia Giulia hanno impugnato in via principale, nei confronti del
Presidente del Consiglio dei ministri, numerose disposizioni della legge 23
dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2006), tra cui l’art. 1, commi 280 e
281, per violazione degli artt. 117, terzo comma (relativamente alla «tutela
della salute»), 118 e 119 della Costituzione, nonché del principio di
ragionevolezza.
Le
ricorrenti premettono che l’art. 1, comma 279, della legge impugnata prevede il
concorso dello Stato nel ripiano dei disavanzi del Servizio sanitario nazionale
per gli anni 2002, 2003 e 2004, ma che l’erogazione degli importi da parte dello
Stato è anzitutto «subordinata all’adozione, da parte delle Regioni, dei
provvedimenti di copertura del residuo disavanzo posto a loro carico per i
medesimi anni».
Inoltre
l’art. 1, comma 280, subordina tale concorso anche al conseguimento, entro il 31
marzo 2006, dell’intesa sul Piano sanitario nazionale 2006-
Un’ulteriore
condizione viene poi posta alle Regioni che nel periodo 2001-2005 abbiano
registrato un disavanzo medio pari o superiore al 5%, ovvero, nell’anno 2005, un
incremento del disavanzo rispetto al 2001 non inferiore al 200%: in tali casi,
si prevede (art. 1, comma 281) la stipula di un accordo tra la Regione
interessata e i Ministri della salute e dell’economia e delle finanze, per
l’adeguamento alle indicazioni del Piano sanitario nazionale 2006-2008 e il
perseguimento dell’equilibrio economico nel rispetto dei livelli essenziali di
assistenza.
Le
condizioni poste da entrambi i commi sono, a parere delle ricorrenti,
costituzionalmente illegittime.
In
primo luogo, esse violerebbero la competenza legislativa concorrente e le
attribuzioni amministrative della Regione in materia di «tutela della salute»
(artt. 117, terzo comma, e 118 della Costituzione), giacché istituirebbero un
«collegamento necessario tra il finanziamento statale, resosi indispensabile in
relazione ad attività di assistenza già prestata, e il consenso della Regione»
sulle previsioni del Piano sanitario 2006-2008 e sulle misure organizzative
concernenti le liste di attesa, con particolare riguardo alla destinazione di
una quota minima di risorse da vincolare al contenimento dei tempi e alle
modalità di realizzazione del centro unico di prenotazione (art. 1, comma 280,
lettera d), alla attivazione di uno specifico flusso informativo per il
monitoraggio delle liste di attesa (art. 1, comma 280, lettera e), alla
competenza del comitato Stato-Regioni previsto dall’intesa del 23 marzo
Così
disponendo, il legislatore statale avrebbe compresso l’autonomia regionale in
modo illegittimo e irragionevole (art. 97 della Costituzione), posto che le
intese e l’accordo previsti dalle norme impugnate solo all’apparenza sarebbero
liberamente sottoscrivibili o rifiutabili, mentre nella realtà essi sarebbero
imposti alla Regione «dalla urgente necessità di ottenere il contributo
finanziario dello Stato».
Sarebbe
in particolare lesiva del principio di ragionevolezza la previsione che
l’accordo previsto dall’art. 1, comma 281, della legge impugnata, benché
originato dal disavanzo passato, concerna l’adeguamento al Piano sanitario per
gli anni a venire.
In
secondo luogo, ponendo condizioni che non attengono direttamente alle cause del
disavanzo finanziario e che quindi non incidono «sulle fonti di entrata o sui
livelli delle prestazioni», le norme impugnate si porrebbero altresì in
contrasto con l’art. 119, quarto comma, della Costituzione, per il quale alla
Regione spetta il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche
attribuitele.
2.
– Con ricorso notificato il 24 febbraio 2006 e depositato il 3 marzo 2006 anche
La
ricorrente sostiene, anzitutto, che misure legislative concernenti la disciplina
del finanziamento del servizio sanitario «dovrebbero necessariamente essere
oggetto di preventiva verifica ed accordo in sede di Conferenza
Stato-Regioni».
Inoltre, sarebbe costituzionalmente illegittimo vincolare il ripiano
finanziario di un disavanzo pregresso a «future determinazioni» tra Stato e
Regioni, che ne verrebbero per ciò stesso unilateralmente
condizionate.
3.
– A propria volta
La
ricorrente premette che il disavanzo finanziario nel settore sanitario non
sarebbe dipeso da «cattiva gestione», ma «dalla sottostima del fondo sanitario
nazionale e dall’inattuazione del federalismo fiscale».
Ciò
detto, le norme impugnate avrebbero illegittimamente subordinato la
disponibilità del ripiano finanziario dello Stato all’assunzione di «futuri
obblighi», privi di collegamento con le cause del disavanzo, e nel contempo
avrebbe chiuso «ogni rivendicazione futura su eventuali disavanzi sorti negli
anni passati, dei quali dovrà farsi carico la Regione», le cui competenze in
materia di tutela della salute e la cui autonomia finanziaria sarebbero così
state lese.
4. – Con ricorso notificato il 23 febbraio 2006 e depositato il 1° marzo
2006 anche
La
ricorrente osserva che le norme impugnate «appaiono viziate da intrinseca
irragionevolezza, in quanto subordinano il ripiano del disavanzo da parte dello
Stato ad attività delle Regioni, che non presentano profili di connessione con
il ripianamento stesso»: tale irragionevolezza ridonderebbe nella lesione della
«autonomia regionale» tutelata dagli artt. 117, 118 e 119 della
Costituzione.
5.
– Anche
Secondo
la ricorrente, tale norma, nel legare il ripiano di disavanzi pregressi a
«futuri obblighi» della Regione e nel precludere «alle Regioni ogni possibile
rivendicazione futura per gli eventuali disavanzi», lederebbe l’autonomia
finanziaria regionale.
6.
– Si è costituito in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con memorie di
analogo tenore (salvo che nel giudizio promosso dalla Regione Campania, ove
l’Avvocatura si è riservata di «argomentare […] dopo che sarà raggiunta l’intesa
prevista dal comma 280» impugnato).
Dopo avere eccepito l’inammissibilità delle censure svolte dalle Regioni Liguria, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte e Veneto in relazione al principio di ragionevolezza e agli artt. 3 e 97 della Costituzione, l’Avvocatura osserva che il solo parametro idoneo sarebbe costituito dal riparto costituzionale delle competenze: in particolare, le norme impugnate verterebbero nella materia della «tutela della salute», fissando obiettivi di programmazione sanitaria e di contenimento della spesa di certa spettanza statale, anche alla luce del carattere «incentivante» del finanziamento dello Stato, già affermato da questa Corte (sentenza n. 36 del 2005). Pertanto i ricorsi dovrebbero essere respinti.
7. – Nell’imminenza dell’udienza pubblica, le ricorrenti (con l’eccezione della Regione Piemonte) hanno depositato memorie.
Le Regioni Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia e Liguria replicano, anzitutto, all’eccezione dell’Avvocatura dello Stato circa l’inammissibilità delle censure basate sugli artt. 3 e 97 della Costituzione, richiamando la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui i ricorsi regionali in via principale possono fondarsi su «parametri esterni al Titolo V, qualora la violazione di essi si traduca in lesione delle competenze costituzionalmente garantite».
Tali ricorrenti ritengono altresì inconferenti i richiami operati dall’Avvocatura dello Stato alle sentenze n. 36 del 2005 e n. 329 del 2003 di questa Corte.
In particolare, la sentenza n. 36 del 2005 si sarebbe limitata a ritenere costituzionalmente non illegittime le condizioni poste alle Regioni per accedere al finanziamento statale, in ragione del carattere «incentivante» che esso poteva esercitare, mentre le norme impugnate, venendo a coprire un disavanzo già formatosi, avrebbero il solo scopo di «imporre il consenso regionale» su atti di intesa «che non perseguono specifici obiettivi di contenimento della spesa», per di più tramite norme dettagliate.
Le ricorrenti sostengono infine di godere di «autonomia piena (art. 117, comma quarto, della Costituzione)» «in materia di organizzazione sanitaria», autonomia che le norme censurate verrebbero a ledere.
A propria
volta,
Infine,
8. – In prossimità dell’udienza anche l’Avvocatura dello Stato ha depositato memorie: in particolare, nei giudizi promossi dalle Regioni Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Piemonte e Toscana, mediante analoghe argomentazioni, ha insistito sulle conclusioni già formulate.
L’Avvocatura, ripercorrendo le
tappe degli accordi raggiunti tra Stato e Regioni sui livelli della spesa
sanitaria ed il parallelo evolversi della legislazione, mette in particolare
evidenza che già l’art. 83 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge
finanziaria 2001), seguito all’accordo fra Stato e Regioni del 3 agosto
Dopo gli accordi fra Stato, Regioni e Province autonome del 22 marzo 2001 e dell’8 agosto 2001, «trasfusi» nel decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347 (Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria), convertito con modificazioni dalla legge 16 novembre 2001, n. 405, tale principio è stato ribadito e si è altresì stabilito che i livelli essenziali di assistenza fossero definiti con d.P.C.m. «d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome» (art. 6).
Tali livelli sono stati individuati con l’accordo del 22 novembre 2001 e adottati con il d.P.C.m. del 29 novembre 2001.
In tale
contesto (rafforzato dall’intesa del 23 marzo
Le norme censurate, cui hanno fatto seguito le due intese previste dal comma 280, nell’ottica di una «codeterminazione paritaria» del contenuto del Piano sanitario nazionale e di una «codecisione paritaria» quanto al contenimento dei tempi di attesa, avrebbero perciò lo scopo di «assicurare il rispetto degli accordi intervenuti, che legano interventi finanziari a standard di assistenza uniformi», così sottraendosi ad ogni censura svolta.
Viceversa, nel giudizio promosso con il ricorso della Regione Campania, l’Avvocatura dello Stato ha depositato memoria senza svolgere alcuna considerazione in ordine all’impugnato comma 280.
1. – Le
Regioni Toscana, Veneto, Piemonte, Campania, Liguria, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia
Giulia (reg. ric. nn. 28, 29, 35, 36, 38, 39 e
41 del 2006) hanno impugnato numerose disposizioni della legge 23 dicembre 2005, n. 266
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato.
Legge finanziaria 2006), fra cui, l’art. 1, commi 279, 280 e 281.
In particolare, le Regioni Liguria,
Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia hanno impugnato i commi 280 e 281
dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005, per violazione degli artt.
97, 117, terzo comma (relativamente
alla «tutela della
salute»), 118 e 119 della
Costituzione, nonché del principio di ragionevolezza.
Il legislatore statale avrebbe violato la
autonomia legislativa ed amministrativa delle Regioni in materia di
«tutela della
salute», istituendo un
collegamento necessario fra il finanziamento statale a riduzione del
deficit nel settore sanitario ed il consenso della Regione sulle
previsioni del Piano sanitario 2006-2008 e sulle misure organizzative
concernenti le liste di attesa, incluse nel Piano nazionale di
contenimento delle stesse.
Inoltre, sarebbe irragionevole che tali intese e l’accordo previsto dall’art. 1 del comma 281 della legge impugnata, benché originato dal disavanzo passato, concernano misure destinate a produrre effetti per gli anni a venire.
Infine, ponendosi condizioni che non attengono direttamente alle cause del disavanzo finanziario, le norme impugnate si porrebbero altresì in contrasto con l’art. 119, quarto comma, della Costituzione, per il quale alle Regioni spetta il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche loro attribuite.
La ricorrente sostiene, anzitutto, che misure legislative concernenti la disciplina del finanziamento del servizio sanitario «dovrebbero necessariamente essere oggetto di preventiva verifica ed accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni». Inoltre, sarebbe costituzionalmente illegittimo vincolare il ripiano finanziario di un disavanzo pregresso a «future determinazioni» tra Stato e Regioni.
Le norme impugnate avrebbero illegittimamente subordinato la disponibilità del ripiano finanziario dello Stato all’assunzione di «futuri obblighi», privi di collegamento con le cause del disavanzo. Al tempo stesso, si impedirebbe «ogni rivendicazione futura su eventuali disavanzi sorti negli anni passati, dei quali dovrà farsi carico la Regione».
In particolare, la ricorrente osserva che le norme impugnate «appaiono viziate da intrinseca irragionevolezza, in quanto subordinano il ripiano del disavanzo da parte dello Stato ad attività delle Regioni, che non presentano profili di connessione con il ripianamento stesso»: tale irragionevolezza ridonderebbe nella lesione della «autonomia regionale» tutelata dagli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione.
2. – Per ragioni di omogeneità di materia, le questioni di costituzionalità indicate debbono essere trattate separatamente dalle altre, sollevate con i medesimi ricorsi, oggetto di distinte decisioni.
Considerata la sostanziale
analogia delle questioni relative ai commi 279, 280 e 281 dell’art. 1 della
legge impugnata, i giudizi promossi dalle Regioni ricorrenti, per questa parte,
possono essere riuniti per essere decisi con un’unica sentenza.
3. – Anzitutto, occorre decidere alcune questioni preliminari al merito.
3.1. –
Questa Corte ha già avuto occasione di affermare nella sentenza n. 134 del 2006, con specifico riferimento a questa Regione, che, ai sensi dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, la competenza di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. in tema di tutela della salute, è più favorevole rispetto a quanto previsto nello statuto di questa Regione in materia di «igiene e sanità, assistenza sanitaria ed ospedaliera». Ciò determina che possano essere individuati come parametri comuni per tutte le Regioni ricorrenti l’art. 117, terzo comma, e l’art. 118 della Costituzione, nonché il principio costituzionale di autonomia finanziaria di cui all’art. 119.
3.2. – Le delibere con cui le Giunte regionali dell’Emilia-Romagna e del Piemonte hanno autorizzato la proposizione dei rispettivi ricorsi non indicano gli specifici parametri costituzionali che si asseriscono lesi dalle disposizioni impugnate, ma accennano solo genericamente alla lesione delle competenze costituzionali delle medesime Regioni.
Ciò non costituisce, tuttavia, ragione di inammissibilità dei ricorsi in questione.
Questa Corte, infatti, ha avuto occasione di affermare nella sentenza n. 533 del 2002 che l’organo politico promotore del ricorso in via principale ha il solo onere di indicare le norme che intende impugnare, mentre i motivi di censura e i conseguenti parametri costituzionali ben possono essere rimessi all’autonoma iniziativa della difesa tecnica. Le successive sentenze n. 216 del 2006 e n. 50 del 2005 non hanno contraddetto questo principio, ma hanno dichiarato l’inammissibilità di ricorsi promossi sulla base di delibere analoghe a quelle qui in esame, i quali, tuttavia, erano riferiti ad intere leggi dal contenuto non omogeneo: infatti, in questi casi si rivela senz’altro necessaria la indicazione, nella delibera dell’organo politico, quanto meno di una sintetica motivazione anche relativamente agli specifici parametri che si assumono violati, dal momento che solo attraverso siffatta motivazione è possibile ricostruire quali specifiche norme l’organo consiliare abbia inteso effettivamente censurare, tra le molte che compongono, senza omogeneità, l’intero testo normativo oggetto dell’impugnazione.
3.3. –
Nelle memorie depositate in prossimità dell’udienza alcune Regioni ricorrenti
hanno introdotto nuove censure, da
ritenersi senz’altro inammissibili per costante giurisprudenza di questa Corte,
in quanto non contenute nei ricorsi originari.
In
particolare, le Regioni Emilia-Romagna,
Liguria e Friuli-Venezia Giulia si sono riferite all’art. 117, quarto
comma, della Costituzione in
materia di «organizzazione
sanitaria», così
affermando che la disciplina contenuta nelle disposizioni impugnate dovrebbe
ritenersi afferente alla potestà legislativa residuale delle Regioni,
mentre nei ricorsi le medesime
ricorrenti avevano indicato, a
sostegno della doglianza relativa alla asserita violazione delle loro competenze
legislative, il solo terzo comma dell’art. 117 della Costituzione, in punto di tutela della
salute.
A sua
volta,
3.4. – Nelle more del giudizio, sono state raggiunte entrambe le intese previste dall’impugnato comma 280: il d.P.R. 7 aprile 2006 (Approvazione del Piano sanitario nazionale 2006-2008) è stato preceduto dall’intesa intervenuta nell’ambito della Conferenza unificata del 28 marzo 2006; lo stesso 28 marzo 2006 è stato adottato il Provvedimento n. 2555 (Intesa, ai sensi dell’art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano sul piano nazionale di contenimento dei tempi di attesa per il triennio 2006-2008, di cui all’art. 1, comma 280, della legge 23 dicembre 2005, n. 266).
La
richiesta non può essere accolta, dal momento che in base alla giurisprudenza di
questa Corte la cessazione della materia del contendere riguarda le ipotesi in
cui le norme impugnate non abbiano avuto e non possano avere più applicazione
(sentenza n. 53
del 2000; analogamente, fra le più recenti, sentenze n. 370
e n. 216 del
2006), e non l’ipotesi inversa in cui esse abbiano già trovato applicazione,
quando un’eventuale pronuncia di accoglimento della Corte potrebbe reintegrare
l’ordine costituzionale asseritamente violato (sentenza n. 345 del
2004): nel caso di specie, le intese raggiunte trovano la propria causa
proprio nelle norme impugnate, di modo che non si può escludere un effetto su di
esse conseguente ad un eventuale accoglimento delle questioni proposte.
La stessa adesione spontanea alle intese da parte delle Regioni ricorrenti non incide sulla perdurante attualità dell’interesse al ricorso, poiché nel giudizio in via principale non trova applicazione l’istituto della acquiescenza (fra le molte, si vedano le sentenze n. 74 del 2001, n. 20 del 2000, n. 382 del 1999).
3.5. – L’impugnazione dell’art. 1, comma 279, della legge n. 266 del 2005, svolta dalla sola Regione Veneto, è inammissibile per difetto di motivazione (tra le molte, sentenze n. 20 del 2006 e n. 335 del 2005).
La sola censura che il ricorso articola, esprimendo la doglianza che il contributo finanziario dello Stato sia «subordinato ad attività della Regione che non presentano profili di connessione con il ripianamento stesso», può infatti logicamente investire il solo comma 280 della disposizione impugnata, giacché il comma 279 prevede, invece, che la Regione provveda alla copertura del «residuo disavanzo».
Né si vede quale interesse la ricorrente avrebbe ad impugnare l’intero comma 279, e non questa ultima previsione soltanto, da esso recata, posto che tale norma è la fonte attributiva del concorso finanziario dello Stato, cui la ricorrente ambisce, seppure in difetto di ulteriori condizioni.
4. – Per risolvere nel merito le questioni proposte, è opportuno richiamare il vigente quadro normativo concernente il finanziamento delle Regioni nell’ambito del servizio sanitario.
La soppressione del fondo sanitario nazionale ad opera dell’art. 1, comma 1 lettera d), del d.lgs 18 febbraio 2000, n. 56 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell’art. 10 della legge 13 maggio 1999, n. 133) ha avuto allora compensazione tramite la previsione di una serie di compartecipazioni regionali a tributi statali e la istituzione di un apposito fondo perequativo nazionale.
Successivamente, l’art. 83 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2001) ha previsto, al comma 4, che «le singole Regioni […] sono tenute a provvedere alla copertura degli eventuali disavanzi di gestione, attivando nella misura necessaria l’autonomia impositiva con le procedure e modalità di cui ai commi 5, 6 e 7». Queste ultime norme procedimentali sono state immediatamente modificate (come ha rilevato anche questa Corte nella sentenza n. 334 del 2003) ad opera del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347 (Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria), convertito, con modificazioni, nella legge 16 novembre 2001, n. 405, espressamente recependo l’accordo dell’8 agosto 2001 fra Stato e Regioni relativo al tetto delle spese per l’assistenza sanitaria (Accordo tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano recante integrazioni e modifiche agli accordi sanciti il 3 agosto 2000 ed il 22 marzo 2001).
Il decreto-legge n. 347 del 2001 – per ciò che concerne il presente giudizio – ha da un lato (art. 1, comma 1) recepito il tetto della spesa per l’assistenza sanitaria per gli anni 2002, 2003 e 2004 «nei termini stabiliti dall’accordo Stato-Regioni sancito l’8 agosto 2001», e dall’altro lato (art. 4, comma 3) ribadito che deficit che superino le entrate derivanti dal riparto del finanziamento statale previsto per quell’anno, debbano essere coperti dalle Regioni, mediante «misure di compartecipazione alla spesa sanitaria, ivi inclusa l’introduzione di forme di corresponsabilizzazione dei principali soggetti che concorrono alla determinazione della spesa», «variazioni dell’aliquota dell’addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche o altre misure fiscali previste nella normativa vigente», «altre misure idonee a contenere la spesa, ivi inclusa l’adozione di interventi sui meccanismi di distribuzione dei farmaci».
L’art. 40 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2002), ha aggiunto che, in caso di inosservanza delle misure organizzative previste al punto 19 dall’accordo dell’8 agosto 2001, il livello di finanziamento dello Stato si sarebbe ridotto in danno delle Regioni inadempienti e l’art. 4 del decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63 (Disposizioni finanziarie e fiscali urgenti in materia di riscossione, razionalizzazione del sistema di formazione del costo dei prodotti farmaceutici, adempimenti ed adeguamenti comunitari, cartolarizzazioni, valorizzazione del patrimonio e finanziamento delle infrastrutture), ha esteso tale previsione anche agli anni 2002, 2003 e 2004.
La legge 27 dicembre 2002, n. 289
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato.
Legge finanziaria 2003), all’art. 29, comma
Questa Corte, investita della questione di
costituzionalità di quest’ultima disposizione, con la sentenza n. 36 del
Ciò mentre, peraltro, alcune entrate regionali venivano temporaneamente ridotte: l’art. 3, comma 1, lettera a), della stessa legge n. 289 del 2002 sospende gli effetti di eventuali aumenti delle addizionali IRPEF e delle maggiorazioni IRAP e l’art. 2, comma 21, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2003), proroga questa sospensione al 31 dicembre 2004. Solo con l’art. 1, comma 175, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2004), queste addizionali sono state sbloccate, esclusivamente in relazione alla spesa sanitaria, divenendo persino automatiche ed obbligatorie in caso di ulteriore sfondamento dei livelli previsti di spesa (art. 1, comma 174).
In questo stesso contesto di recupero delle
entrate regionali, l’art. 1, comma 164, della legge n. 311 del 2004 non solo
fissa i nuovi tetti di spesa per il triennio 2005-2007, ma prevede anche, «in
deroga al decreto-legge n. 347 del 2001», lo stanziamento di ulteriori fondi
statali per ripianare il disavanzo degli anni 2001, 2002 e 2003, peraltro
subordinando espressamente (al comma 173) l’accesso a questi finanziamenti alla
stipula di un’apposita intesa fra Stato e Regioni «che contempli, ai fini del
contenimento della dinamica dei costi» tutta una serie di adempimenti sul piano
organizzativo e finanziario (intesa in effetti conseguita il 23 marzo 2005:
«Intesa ai sensi dell’art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n.
Infine, l’art. 1, commi 279, 280 e 281, della legge finanziaria per l’anno 2006, e cioè le disposizioni oggetto del presente giudizio, apportano ulteriori deroghe all’obbligo delle Regioni di provvedere alla copertura integrale dei disavanzi della gestione sanitaria a livello regionale, secondo quanto previsto dall’art. 4, comma 3, del decreto-legge n. 347 del 2001, stanziando nuovi fondi statali per contribuire al ripiano dei deficit 2002, 2003 e 2004 del servizio sanitario nelle diverse Regioni, ma subordinandone l’erogazione alle condizioni che hanno originato le attuali impugnative regionali.
Può essere significativo ricordare che tutta la materia del finanziamento del Servizio sanitario nazionale (ivi compreso il problema del ripiano dei deficit) è stata, ancora una volta modificata, in alcune parti (ma sempre con le medesime caratteristiche di fondo), successivamente alle impugnative che hanno originato il presente giudizio, dall’art. 1, commi 144, 796, 797, 798, 799, 805, 806, 807, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2007).
5. – Pur in una situazione di perdurante inattuazione dell’art. 119 della Costituzione (come questa Corte ha più volte rilevato: si vedano, fra le altre, le sentenze n. 222 del 2005, n. 37 del 2004 e n. 370 del 2003), la vigente legislazione di finanziamento del servizio sanitario nazionale trova origine in una serie di accordi fra Stato e Regioni, che spesso ne hanno anche successivamente sviluppato ed integrato la normativa, quantificando anche i corrispondenti livelli di spesa. La stessa offerta “minimale” di servizi sanitari non è unilateralmente imposta dallo Stato, ma viene concordata per taluni aspetti con le Regioni in sede di determinazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) (secondo quanto questa stessa Corte, con le sentenze n. 134 del 2006 e n. 88 del 2003, ha ritenuto costituzionalmente necessitato).
Pertanto non si può attribuire esclusivamente allo Stato la causa del deficit del servizio sanitario, giacché, in larga misura, sia le prestazioni che le Regioni sono tenute a garantire in modo uniforme sul territorio nazionale, sia il corrispondente livello di finanziamento sono oggetto di concertazione tra lo Stato e le Regioni stesse.
Ciò tanto più in quanto le Regioni hanno riacquisito, per effetto del già ricordato art. 1, comma 175, della legge n. 311 del 2004, l’integrale disponibilità delle misure configurate dall’art. 4 del decreto-legge n. 347 del 2001, anche al fine di sanare i «disavanzi di gestione accertati o stimati nel settore sanitario».
D’altra parte, questa Corte ha già osservato, nella sentenza n. 36 del 2005, che gli eventuali conflitti che sorgano in questa materia vanno valutati «nel quadro della competenza legislativa regionale concorrente in materia di tutela della salute […] e specialmente nell’ambito di quegli obiettivi di finanza pubblica e di contenimento della spesa, al cui rispetto sono tenute Regioni e Province autonome, ai sensi di una lunga serie di disposizioni di carattere legislativo e pattizio tra Stato e Regioni, le quali stabiliscono progressivi “adeguamenti” del concorso statale nel finanziamento della spesa sanitaria a fronte della realizzazione da parte delle Regioni di determinati impegni di razionalizzazione nel settore in oggetto».
Nell’ambito di questa legislazione, giova ribadire che l’art. 4, comma 3, del decreto-legge n. 347 del 2001 prevede che «gli eventuali disavanzi di gestione accertati o stimati […] sono coperti dalle Regioni» e disciplina anche come le Regioni possano coprirli.
Le ricorrenti sostengono che il comma
280, nel subordinare il ripiano del disavanzo al raggiungimento dell’intesa sul
Piano sanitario 2006-2008 e alla stipula di una particolare intesa fra Stato e
Regioni sull’adozione di misure di contenimento dei tempi di attesa delle
prestazioni sanitarie, violerebbero l’autonomia legislativa in materia di tutela della salute e l’autonomia
finanziaria delle Regioni (le Regioni Liguria, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia
Giulia e Veneto si riferiscono
anche alle corrispondenti
funzioni amministrative in materia di tutela della salute, mentre
Cinque Regioni ricorrenti (Liguria, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte, Toscana) sostengono analogamente che il comma 281, nel subordinare l’accesso al finanziamento statale per le Regioni che abbiano un deficit particolarmente grave alla stipula di un apposito accordo «per l’adeguamento alle indicazioni del Piano sanitario nazionale 2006-2008 e il perseguimento dell’equilibrio economico nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza», violerebbe anch’esso l’autonomia legislativa e finanziaria delle Regioni.
In entrambi i casi, infatti, lo Stato, autore della legislazione sanitaria e responsabile della mancata attuazione dell’art. 119 della Costituzione, per rimediare in parte all’insufficienza del finanziamento nel settore, imporrebbe alle Regioni l’accettazione di una serie di vincoli ulteriori in materie di loro competenza.
Con
riguardo alla Regione Friuli-Venezia Giulia, come si è già chiarito nel
paragrafo 3.1, unitamente al principio costituzionale di autonomia finanziaria
(motivato sulla base del solo art. 119, quarto comma, della Costituzione),
vengono in considerazione le competenze in materia di «tutela della salute», ai
sensi dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione e dell’art. 10 della legge
costituzionale n. 3 del
Le censure non sono fondate.
Sulla base delle premesse sopra
svolte, lo speciale contributo finanziario dello Stato, (in deroga al
precedente obbligo espressamente previsto dalla legislazione sul finanziamento
del Servizio sanitario nazionale che siano le Regioni a coprire gli eventuali
deficit del servizio sanitario regionale) ben può essere subordinato a
particolari condizioni finalizzate a conseguire un migliore o più efficiente
funzionamento del complessivo servizio sanitario, tale da riservare in ogni caso alle Regioni
un adeguato spazio di esercizio delle proprie competenze nella materia della
tutela della salute.
Né può in alcun modo assumere rilievo il fatto che, mentre il contributo si riferisce ad un deficit pregresso, le condizioni siano imposte per il futuro, dal momento che (al di là del fatto che non si potrebbe fare altrimenti), con esse si persegue l’obiettivo di rendere il servizio sanitario più efficiente (permanendo pertanto il carattere “incentivante” del finanziamento, già sottolineato dalla sentenza n. 36 del 2005).
Né può sottovalutarsi, altresì, che il parziale ripianamento del deficit da parte dello Stato permette che le risorse regionali, altrimenti destinate a coprire tale deficit, possano essere utilizzate autonomamente dalla Regione interessata per il miglioramento del proprio servizio sanitario.
La scelta delle Regioni di aderire alle intese ed agli accordi di cui ai commi 280 e 281 non può neppure ritenersi coartata, dal momento che le Regioni potrebbero pur sempre scegliere di non addivenire alle intese in questione, facendo fronte al deficit con i propri strumenti finanziari ed organizzativi.
D’altra
parte, lo Stato, nel corso delle trattative finalizzate al conseguimento delle
intese e degli accordi con le Regioni, è pur sempre vincolato anche dal
principio di leale cooperazione, che
non consente ad esso di valersi delle norme impugnate quale meccanismo di
indebita pressione sulle Regioni, per imporre loro unilateralmente specifiche
condizioni di attuazione delle finalità determinate dalla
legislazione.
6. – Le Regioni Liguria, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Veneto ritengono che sarebbe in ogni caso manifestamente irragionevole e contrario al buon andamento del servizio sanitario (artt. 3 e 97 della Costituzione) istituire un collegamento tra il ripiano di un disavanzo finanziario già verificatosi e l’adozione di misure che avranno efficacia in futuro, estranee alle cause del disavanzo.
Dal momento che si è appena escluso che le norme impugnate incidano in termini riduttivi sulla sfera delle competenze costituzionalmente protette delle Regioni, la censura è inammissibile: questa Corte ha infatti costantemente affermato che le Regioni «possono far valere il contrasto con norme costituzionali diverse da quelle attributive di competenza legislativa soltanto se esso si risolva in una esclusione o limitazione dei poteri regionali, senza che possano aver rilievo denunce di illogicità o di violazione di principi costituzionali che non ridondino in lesione delle sfere di competenza regionale» (sentenza. n. 116 del 2006; fra le molte, analogamente, sentenze n. 383 e n. 50 del 2005; n. 287 del 2004).
7. – Le Regioni Toscana e Campania impugnano il comma 280 e (quanto alla sola Toscana) il comma 281 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005, alla luce degli artt. 117 e 119 della Costituzione, sostenendo che essi precluderebbero «ogni rivendicazione futura su eventuali disavanzi (sorti negli anni passati per la sottostima del fondo sanitario nazionale e per assicurare i LEA)».
La
doglianza, pur non molto perspicua, appare risolversi nella contestazione del
fatto che lo Stato possa
limitare il proprio contributo di copertura dei deficit alla misura indicata, senza
considerare tutti gli effetti prodotti da precedenti sottostime del fondo
sanitario nazionale e dai vincoli di
spesa delle Regioni. Anche volendosi prescindere dal fatto che la censura
avrebbe dovuto essere rivolta anzitutto contro il comma 279, che prevede solo un parziale contributo
statale ma che le due
ricorrenti non impugnano, nel merito è sufficiente richiamare le considerazioni
sopra svolte circa il ruolo riconosciuto anche alle Regioni nella elaborazione
ed attuazione della legislazione di finanziamento del servizio sanitario
nazionale e circa il conseguente difetto di un obbligo costituzionale dello
Stato di ripianare integralmente
il deficit pregresso, per
concludere nel senso dell’infondatezza della censura.
8. –
A prescindere dal rilievo per cui i parametri evocati a sostegno della doglianza (artt. 97 e 120 della Costituzione) appaiono del tutto inconferenti, la censura non è fondata, conformemente alla costante giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale le procedure di leale cooperazione possono applicarsi ai procedimenti legislativi «solo in quanto l’osservanza delle stesse sia imposta, direttamente od indirettamente, dalla Costituzione» (tra le molte, sentenze n. 196 del 2004 e n. 437 del 2001).
per
questi motivi
riservata ogni decisione sulle restanti questioni di legittimità costituzionale della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2006), sollevate dalle Regioni Toscana, Veneto, Piemonte, Campania, Liguria, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia con i ricorsi indicati in epigrafe;
riuniti i giudizi, relativamente all’art. 1, commi 279, 280, 281;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 279, della legge 23 dicembre 2006, n. 266, sollevata dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 280, della legge 23 dicembre 2006, n. 266, sollevata dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, nonché dalle Regioni Liguria, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia, in riferimento all’art. 97 della Costituzione e al principio di ragionevolezza, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma
280, della legge 23 dicembre 2006, n. 266, sollevate dalla Regione Veneto, in
riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché dalle Regioni
Liguria ed Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 117, 118, 119 della
Costituzione, nonché dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, previa applicazione dell’art. 10 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001 n.
dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 281,
della legge 23 dicembre 2006, n. 266, sollevate dalle Regioni Liguria ed
Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 117, 118, 119 della Costituzione,
nonché dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, previa applicazione dell’art. 10 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001 n.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 7 marzo 2007.
F.to:
Maria
Depositata in